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Il progetto GoJelly nelle parole della ricercatrice Cnr Antonella Leone

15/02/2018

Rhizostoma Pulmo
Rhizostoma Pulmo

La ricercatrice dell’Istituto di scienze delle produzioni alimentari (Ispa-Cnr) Antonella Leone, membro del partenariato che porta avanti il progetto 'Go Jelly' parla approfonditamente dell'iniziativa, finanziata dall’Unione Europea nell’ambito del Programma Horizon 2020 con un budget di sei milioni di euro per un periodo della durata di quattro anni.  Coordinato da Geomar Helmholtz Center for Ocean Research di Kiel e con un consorzio di quindici istituzioni scientifiche e aziende provenienti da otto Paesi, il progetto ha l’ambizione di stravolgere la percezione negativa comune sulle meduse, proponendosi di trasformarle in una preziosa risorsa per la produzione di filtri per microplastiche, fertilizzanti, mangimi e alimenti.

GOJELLY si sviluppa nell’abito di un contesto ambientale globale molto problematico sotto diversi aspetti, può spiegarci meglio quali?

Il cambiamento climatico globale e l’impatto delle attività umane sugli ecosistemi marini sembrano avere effetti anche sulla proliferazione delle meduse. In particolare l’aumento delle temperature dell’acqua, l’acidificazione degli oceani e l’eccessiva attività di pesca contribuiscono a innescare tale fenomeno. Sempre più spesso, sulle coste Europee, le meduse si presentano in enormi masse in grado di procurare gravi danni economici alle aziende di acquacoltura e maricoltura e di bloccare sistemi di raffreddamento delle centrali elettriche localizzate vicino alla costa, oltre ovviamente, ad incidere notevolmente sull’industria del turismo.

Nel Mediterraneo possiamo riscontrare le stesse problematiche?

Certamente, basta citare la campagna, tuttora attiva, che ha coinvolto i colleghi del CNR-ISMAR e dell’Università del Salento, “Occhio alla medusa”, la quale ha dimostrato che dal 2009 al 2015 gli avvistamenti delle meduse nel Mediterraneo sarebbero aumentati di dieci volte, con un picco registrato nel 2013. E’ da queste premesse che già nel 2012 venne sviluppato dall’Università del Salento, il progetto ENPI CBC MED MED-JELLYRISK, con il coinvolgimento di un partenariato di 5 Istituzioni provenienti da paesi del bacino del Mediterraneo, ed al quale ho collaborato. Il Progetto, concluso nel 2015, ha rappresentato in assoluto il primo tentativo di valutazione degli impatti socio-economici delle esplosioni demografiche delle meduse e di applicazione di contromisure mitigative. In particolare in diverse spiagge nel Mediterraneo sono stati introdotti dei prototipi di reti antimeduse con lo scopo di proteggere i bagnanti fungendo da barriera.

GOJELLY non intende solo arginare il fenomeno, ma propone delle soluzioni innovative da cui trarre vantaggio.

Esatto, il progetto GoJelly intende trasformare le meduse in una risorsa. Saranno sviluppate ricerche di base in quanto il ciclo vitale di molte specie di meduse è pressoché sconosciuto ed è ancora oggi impossibile prevedere i fenomeni di proliferazione; per tale motivo è estremamente difficoltoso programmare interventi per ridurre le grandi masse di meduse che raggiungono le coste e nello stesso tempo, utilizzarle efficientemente. Contemporaneamente i partner del progetto studieranno delle soluzioni innovative per utilizzare la biomassa disponibile.

Quali sono i possibili utilizzi di questa biomassa?

Le ricerche che verranno condotte presso l’Istituto di Scienze delle Produzioni Alimentari, che mi vedono direttamente coinvolta, consisteranno nello studio delle caratteristiche biochimiche, nutraceutiche e nutrizionali delle Meduse del Mediterraneo e dei mari Europei e il loro possibile uso come alimento, ingrediente alimentare o come fonte di composti bioattivi. La collaborazione con aziende private fornirà poi l’opportunità di utilizzare il potenziale dell’enorme biomassa di meduse per promuovere lo sviluppo di prodotti innovativi.

Tra qualche anno, quindi, potremo ordinare nei nostri ristoranti delle ottime pietanze a base di medusa?

E’ possibile. Nella cultura asiatica le meduse sono già nel menu. Si tratta di organismi invertebrati che rappresentano una biomassa disponibile con un alto contenuto di proteine; sono composte infatti per un 95% da acqua e per un 5% da materia organica e in particolare proteine come il collagene. La valutazione della eventuale tossicità delle meduse presenti nel Mediterraneo, e degli aspetti qualitativi, anche legati alle diverse procedure alimentari, sono parte delle nostre ricerche. I risultati del nostro lavoro potranno essere utili come base conoscitiva nelle procedure di autorizzazione e/o notifica alla commercializzazione dei nuovi alimenti, secondo il regolamento Europeo sui novel foods. Una procedura obbligatoria che, tramite il Ministero della Salute, garantisce la sicurezza alimentare anche per cibi che non fanno parte delle tradizioni alimentari Europee. A parte gli aspetti sulla sicurezza alimentare, stiamo valutando anche il grado di accettazione, le aspettative ed i limiti dei consumatori Italiani, mediante l’attivazione di un questionario online, in collaborazione con l'Università di Scienze Gastronomiche (UNISG) di Pollenzo (CN), focalizzato sulla percezione delle meduse come possibile fonte alimentare.

Quali altri utilizzi della biomassa derivante dalle meduse sono previsti dal progetto?

Sicuramente il collagene contenuto nelle meduse attirerà molto l’attenzione dell’industria cosmetica. Le meduse inoltre, potrebbero anche essere utilizzate come fertilizzanti agro-biologici in agricoltura o mangimi in acquacoltura. I pesci negli allevamenti sono infatti ad oggi alimentati con altri pesci catturati; le meduse rappresentano invece un prodotto più sostenibile con il vantaggio che le risorse ittiche naturali verrebbero maggiormente protette. Un altro fondamentale obiettivo del progetto è quello di utilizzare le biomasse di meduse per la produzione di filtri per microplastiche. I Partner del Progetto hanno la grande ambizione di proporre delle possibili soluzioni innovative per combattere la massiccia presenza ecologicamente e economicamente distruttiva per i mari e le coste sia delle meduse che delle microplastiche.

Meno inquinamento quindi?

Gli studi hanno dimostrato che il muco delle meduse può imbrigliare le microplastiche e i biofiltri che ne deriveranno potrebbero essere utilizzati negli impianti di trattamento delle acque reflue o nelle fabbriche in cui si produce microplastica; un piccolo passo in avanti per arginare l’inquinamento, anche se la strada è ancora molto lunga.

L’Italia, per sua conformazione geografica e storica è da sempre considerata il fulcro del Mediterraneo, con un totale di 7468 km di costa. E’ quindi evidente la grande importanza del ruolo della ricerca nello sviluppare e promuovere soluzioni innovative per tutelare gli ecosistemi marini, fondamentali per uno sviluppo sociale ed economico sostenibile del Paese.

A cura di Federica Tenaglia

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Per informazioni:
Antonella Leone
CNR - Istituto di scienze delle produzioni alimentari
antonella.leone@ispa.cnr.it
+39 0832 422615

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