Focus

Rapporto sulle economie mediterranee

I tre quarti della popolazione del Mondo dispone di un quarto del prodotto mondiale. Il 10 per cento più ricco dispone della metà. E', questa, un'informazione che si legge spesso a proposito della distribuzione del prodotto fra paesi all'inizio del terzo millennio.
Già intorno all'anno 2000, nella disuguaglianza su scala mondiale, le cose stavano, tuttavia, cambiando. Questo cambiamento si è poi accelerato negli ultimi anni. La Cina e l'India, in cui vive il 40 per cento della popolazione mondiale, hanno cominciato a crescere a tassi superiori al 5 per cento annuo. Il livello di vita di una parte così consistente della popolazione mondiale è migliorato con una rapidità che non trova molti riscontri nella storia degli ultimi due secoli. Tutti gli indici della diseguaglianza globale su scala mondiale cioè hanno rivelato una flessione. La capacità di produrre beni e servizi è cresciuta globalmente ed è cresciuta soprattutto in alcune regioni del mondo molto popolose, nelle quali le condizioni di vita erano assai modeste fino a pochi anni fa.
Lontana sembra l'epoca in cui, in economia, si guardava allo sviluppo come a un processo cumulativo; che accresceva, cioè, il benessere di chi era già ricco, mentre aumentava la miseria dei più poveri. Allora cinquanta anni fa l'economista K. G. Myrdal, per rappresentare la disuguaglianza crescente, citava la frase biblica in cui si dice che chi più ha più avrà e vivrà nell'abbondanza e a chi non ha sarà tolto anche il poco che ha. Sembra oggi più realistico pensare che la modernizzazione economica, cominciata due secoli fa, abbia interessato, all'inizio, una parte soltanto della popolazione del globo: l'Europa e poco dopo i paesi d'immigrazione europea, fra cui soprattutto gli Stati Uniti. Lo sviluppo ha preso avvio in un mondo in cui predominava l'eguaglianza nella povertà e in cui le differenze economiche fra nazioni erano assai modeste. La modernizzazione non poteva che provocare, ai suoi inizi nel XIX secolo, cioè, e nella prima metà del XX disuguaglianza fra gli abitanti fortunati che avanzavano -ed erano pochi- e le popolazioni sfortunate -ed erano molte-, che rimanevano nella povertà caratteristica delle economie tradizionali.
Dal momento che la crescita moderna è basata sulle conoscenze tecniche e che queste si diffondono rapidamente e facilmente, poco a poco anche altre economie hanno cominciato a beneficiare della tecnologia moderna. Col passare del tempo e con la diffusione della modernizzazione economica, popolazioni sempre più numerose sono state attratte nella sfera del benessere. L'ineguaglianza a livello mondiale, dopo essere aumentata fino a raggiungere il suo massimo negli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso, ha perciò cominciato a ridursi. Ha descritto, cioè, una curva simile a una U rovesciata. Si è partiti da una povertà diffusa; si è passati attraverso l'ineguaglianza, quando la modernizzazione dell'economia interessava parti limitate del globo; si sta procedendo verso l'uguaglianza del benessere, condiviso da una parte sempre più ampia della popolazione del pianeta.
Questa visione, oggi abbastanza comune fra gli economisti, è, tuttavia, troppo ottimistica, guardando alle diseguaglianze che ancora dominano fra paesi. Ci sono poi le ineguaglianze all'interno dei paesi (fra gruppi e classi, e anche fra regioni), che rimangono assai rilevanti in buona parte del mondo. Non è affatto scontato, inoltre, che le tendenze in atto continueranno nel futuro. La rappresentazione di una U rovesciata descrive, tuttavia, abbastanza bene quanto sta accadendo oggi nel mondo della globalizzazione, pur con frizioni e battute d'arresto.
Chi osserva in particolare il mondo mediterraneo deve chiedersi, dunque, se in quella parte minuscola del globo un 2-3 per cento della superficie del mondo, in cui vive il 13 per cento della popolazione troviamo conferma a questa visione ottimistica che il quadro globale suggerisce. La risposta è che nel Mediterraneo, purtroppo, non c'è nessuna Cina; non ci sono, cioè, economie ampie che crescano a tassi così rapidi come quelli dell'economia cinese negli ultimi anni. Si vede come le differenze che ancora esistono fra le economie del Medi-terraneo e come non accennino a diminuire. Alcuni paesi, come la Siria, il Marocco, la Serbia e il Montenegro, la Macedonia, l'Egitto, l'Algeria, dispongono oggi di un livello di reddito medio analogo a quello dell'Italia prima della Seconda Guerra Mondiale. Dagli anni '60 del secolo scorso, pur essendo le economie del Sud e dell'Est del Mediterraneo cresciute, sono cresciute, però, a un tasso inferiore a quello dei paesi dell'area euro mediterranea. Le distanze si sono, perciò, accresciute. In termini rela-tivi le economie mediterranee del Sud e dell'Est hanno perso terreno e la diseguaglianza è aumentata e non diminuita, come avviene nel quadro globale.
Il Mediterraneo è, però, una parte del mondo piena di contrasti e differenze; come del resto è sempre stata! La varietà nei livelli di svilup-po non è semplicemente riconducibile al divario fra l'area europea da una parte, e il resto dei paesi mediterranei nel loro complesso, dall'altra. Il quadro generale è assai più complesso. Se guardiamo ai tassi di cre-scita del prodotto pro capite negli ultimi 10 anni, il campo di variazione fra i paesi progrediti più velocemente e le economie in crescita lenta è di ben 23 volte (utilizzando i dati forniti dalla World Bank). E' bene segnalare, però, che le stime delle organizzazioni internazionali sono, in molti casi, assai diverse . La regione che è avanzata di più nel decennio scorso, è infatti, la Bosnia-Erzegovina (meno di 4 milioni di abi-tanti), con un tasso del 12,4 per cento (ma non negli ultimi anni, in cui la crescita si è arrestata). Questo tasso, basato su dati della World Bank, è spiegabile con la ricostruzione dopo la guerra degli anni '90 e con la ripresa da una situazione economica disastrosa fino a pochi anni fa. Il paese che è cresciuto di meno è la Siria (con una popolazione di 19 milioni): ad un tasso di appena lo 0,54 per cento all'anno (sempre secondo i dati della World Bank). Fra queste due situazioni estreme, il ventaglio dei tassi di sviluppo è assai ampio. La crescita media annua delle economie mediterranee nel loro complesso, di circa il 3 per cento, è poco significativa, quando le deviazioni sono così forti. La media è superata da Algeria (con l'8 per cento), Albania (5,5), Croazia (5), Slovenia (4), Tunisia (3,7), Grecia (3,6). Gli altri paesi si situano al di sotto del 3 per cento. Con tassi di crescita annua, sempre su base decennale, inferiori al 2 per cento, si trovano Malta, Macedonia, Giordania, Israele e Siria, ma anche Italia (1,26), Francia (1,77) e Portogallo (1,97). La Spagna, col 2,4, è, fra i paesi dell'area latina, quello che è cresciuto di più in quest'ultimo decennio.