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Partecipazione dell'ISTI alla campagna internazionale di rientro della sonda Fobos-Grunt

17/01/2012

Il veicolo spaziale dell’Agenzia Spaziale Russa (Roskosmos) Fobos-Grunt, lanciato dal cosmodromo di Baikonur l'8 novembre 2011 e destinato all’esplorazione di Marte, nonché al recupero di campioni di suolo della sua luna Fobos, a causa di un guasto di natura imprecisata è rimasto intrappolato in orbita terrestre, non essendo state eseguite le due grosse manovre previste per imboccare la traiettoria interplanetaria. A quel punto la sonda, fuori controllo, ha cominciato a perdere progressivamente quota a causa dell’interazione con la termosfera, potendo precipitare ovunque in una fascia di latitudine compresa tra 51,5° S e 51,5° N, comprendente gran parte della popolazione del pianeta.
In oltre 54 anni di attività spaziale, solo una dozzina di oggetti con una massa superiore a quella di Fobos-Grunt sono rientrati senza controllo nell’atmosfera. Ma questa sonda era speciale, perché gran parte della sua massa di 13,5 tonnellate (circa l'83%) era costituita da propellente liquido altamente tossico. La massa solida coinvolta si riduceva invece a soli 2.350 kg, quasi la stessa dello stadio Soyuz rientrato sui cieli d’Europa la sera di Natale scorso. Oggetti di questa classe di massa (o addirittura superiore) rientrano senza controllo assai di frequente, praticamente ogni settimana.
Solo una piccola capsula conica di 7,5 kg, destinata a riportare a Terra i campioni di Fobos, era stata appositamente progettata per resistere al rientro in atmosfera e raggiungere integra il suolo, ma secondo Roskosmos dai 20 ai 30 frammenti, con una massa complessiva inferiore ai 200 kg, avrebbero potuto sopravvivere fino all’impatto con la superficie del nostro pianeta, traducendosi in una probabilità relativamente piccola, circa 1/10.000, di causare una vittima a livello globale.
La sonda era destinata a perdere progressivamente la sua integrità strutturale a quote comprese tra i 100 e i 70 km, mentre oltre il 90% della sua massa solida si sarebbe dovuta consumare tra i 60 e i 40 km di altezza. Poiché i serbatoi erano di alluminio, non avrebbero potuto resistere, quasi certamente, al calore del rientro, riducendo fortemente la probabilità che parte del propellente tossico potesse raggiungere la superficie terrestre. Da segnalare a bordo anche la presenza di una piccola quantità (10 μg) dell’isotopo radioattivo Cobalto-57, usato in uno strumento scientifico tedesco per l’analisi del suolo di Fobos. Sulla base delle informazioni disponibili, anch’esso avrebbe dovuto disperdersi ad alta quota, con effetti ambientali trascurabili.
Comunque, per precauzione e per la mancanza di precedenti, il decadimento orbitale di Fobos-Grunt è stato monitorato con attenzione a livello globale e l’Inter-Agency Space Debris Coordination Committee (IADC) ha promosso una campagna internazionale di rientro per lo scambio di dati orbitali e previsioni di caduta.
Come in occasione dei recenti rientri incontrollati dei satelliti UARS e ROSAT, nonché di eventi simili verificatisi negli ultimi 33 anni, il Laboratorio di Dinamica del Volo Spaziale dell’Istituto di Scienza e Tecnologie dell’Informazione (ISTI) del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) ha seguito fin dal fallimento della missione, nello scorso novembre, l’evoluzione orbitale della sonda, partecipando poi, dal 2 al 15 gennaio, alla campagna internazionale di rientro dello IADC. Contestualmente, ha fornito previsioni aggiornate e valutazioni tecniche agli enti nazionali preposti al monitoraggio della situazione, cioè l’Agenzia Spaziale Italiana (ASI) e il Dipartimento della Protezione Civile della Presidenza del Consiglio dei Ministri.
Sulla base degli ultimi tracciati radar della sonda, ottenuti dai Russi alle 17:04 UTC del 15 gennaio, e delle più aggiornate calibrazioni del parametro balistico elaborate in ISTI, l’ultima stima di rientro, trasmessa allo IADC, utilizzando quattro diversi modelli di atmosfera e riferita alla quota convenzionale di riferimento di 10 km, era compresa tra le 17:44 e le 17:50 UTC del 15 gennaio 2012, corrispondente a un ampio tratto di mare nell’Oceano Pacifico meridionale, al largo delle coste cilene.
Ma ovviamente la sonda non ha raggiunto integra la quota di 10 km, cominciando a consumarsi a 100 km di altezza e disintegrandosi poco sotto gli 80 km. Si è così trovato che la discesa a 100 km dovrebbe essersi verificata tra le 17:28 e le 17:35 UTC, al largo della Nuova Zelanda, mentre la quota di 80 km sarebbe stata raggiunta tra le 17:38 e le 17:44 UTC, sempre del 15 gennaio, in pieno Oceano Pacifico meridionale.
Quanto al destino della piccola capsula conica di 7,5 kg, contenente l’esperimento scientifico LIFE della The Planetary Society e progettata per resistere al rientro, supponendo che si sia separata a 78 km di altezza, avrebbe toccato l’oceano, alla velocità di circa 70 km/h, tra le 17:53 e le 17:59 UTC, a una distanza dalle coste del Cile meridionale compresa tra 3.600 e 1.000 km.

• Carmen Pardini (tel. 050-315-2987 - mail: Carmen.Pardini@isti.cnr.it)
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