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Preistoria del fuoco: esperienza del tempo e simboli di luce nelle culture del Mediterraneo antico

Nella mitologia greca Prometeo, figlio del titano Iapeto, rappresenta per eccellenza l'eroe ribelle che, giocando sulla sua straordinaria intelligenza, restituisce al genere umano il fuoco sottratto in precedenza da Zeus. Prometeo incarna la reazione al pericoloso mondo delle tenebre, dove fuoco e luce sono totalmente assenti. L'eroe restituisce non solo il fuoco, ma contribuisce al progresso dell'umanità con altri importanti doni, come la conoscenza dell'arte dei metalli, il calcolo del tempo, l'arte della divinazione, la conoscenza della pratica della navigazione. Se proiettiamo queste acquisizioni nel lontano contesto della preistoria, Prometeo è la metafora del complesso sistema di rapporti che lega la scoperta del fuoco e le più antiche attività artigianali dei gruppi umani. Fin dal Paleolitico, mo- mento nel quale compaiono le più antiche evidenze dell'uso del fuoco risalenti a circa 1,500.000 anni fa, la domesticazione del fuoco comportava, presso i gruppi di cacciatori-raccoglitori, una costante attenzione rivolta non solo alla gestione di tale importante risorsa, ma soprattutto alla necessità di reperire materiale da combustione. Questa attività implica una specifica percezione del tempo nei termini di calcolo della durata del fuoco che, se non sufficientemente alimentato, rischiava di spegnersi, provocando danni per la comunità. Ma il tempo entra in gioco anche in un'altra pratica legata all'uso del fuoco, la cottura dei cibi, che presuppone una specifica percezione della durata globale necessaria alla preparazione, manifattura e consumazione di un pasto, insieme ad una più attenta organizzazione collettiva del lavoro. Si è pertanto concentrata l'attenzione, in questo studio che affronta un tema scarsamente indagato nell'ambito degli studi di bioarcheologia nazionale, sul complesso degli effetti calorici e luminosi prodotti dal fuoco, in una prospettiva di ricerche integrate tra archeologia, etnografia e antropologia. Partendo da alcuni casi di studio presi a prestito dalle culture del Neolitico egeo-anatolico e dell'Italia meridionale (7.500-4.500 a.C. circa), l'arte della pirotecnia diventa uno dei modelli di lettura per comprendere l'emergere dei primi gruppi di agricoltori nella storia del Mediterraneo antico. Dall'impiego all'interno delle più svariate attività domestiche, all'uso dei suoi aspetti simbolici, quali quelli legati alla più antica pratica della cremazione in contesti funerari, il fuoco viene percepito come una forza dal potere irreversibile e distruttivo, in grado di generare ma anche di annullare la materialità di cose inanimate ed esseri umani.

Autori: Massimo Cultraro

Titolo: Una forza distruttiva e irreversibile: fuoco, calore, luce nelle culture neolitiche del Mediterraneo centrale

Rivista: in C.D. Fonseca, E. Fontanella, C. Strinati (eds.), Anima del Fuoco (catalogo della Mostra, Milano marzo-giugno 2010)

Anno: 2010

Riferimenti bibliografici: Milano DNArt Edizioni 2010, pp. 102-110