Comunicato stampa

Fegato e cuore "all'esame" della GGT

11/10/2005

Un “enzima killer” può attentare non soltanto al fegato ma anche al cuore. È la gamma-glutamiltransferasi (GGT), al centro di una ricerca condotta dall’Istituto di fisiologia clinica (Ifc) del Cnr e dall’Università di Pisa, che ha dimostrato come l’enzima GGT possa rivelare problemi cardiaci, indipendentemente da malattie epatiche.

È infatti acquisito che il dosaggio nel sangue dell’enzima GGT è un comune test di laboratorio utilizzato per verificare la possibile presenza di malattie del fegato o di abuso di alcol.

I ricercatori dell’Ifc hanno evidenziato che la GGT è presente nelle placche di aterosclerosi di arterie di pazienti con malattie delle coronarie e carotidi e può indurre la formazione di radicali liberi dell’ossigeno che “instabilizzano” la placca, facilitando la rottura, la trombosi e l’occlusione del vaso. In altre parole, la GGT può influire sulla progressione della malattia aterosclerotica delle arterie e sull’incidenza di infarto miocardico, ictus cerebrale e morte cardiaca. Tutto ciò al di là di qualsiasi malattia epatica dovuta ad abuso di alcolici e persino indipendente da quelli che sono considerati fattori di rischio “convenzionali” come fumo, colesterolemia, ipertensione arteriosa, diabete e obesità.

Gli studi, iniziati nel 1998, sono frutto di un’attiva collaborazione fra i ricercatori dell’Ifc-Cnr di Pisa, Michele Emdin e Claudio Passino, e quelli del Dipartimento di Patologia Sperimentale dell’Università di Pisa, Aldo Paolicchi, ed Alfonso Pompella.

“I risultati di questi studi condotti a Pisa sono stati ora inequivocabilmente confermati  da una vastissima indagine epidemiologica condotta in Austria, in un programma di studio dei fattori di rischio per malattie croniche sulla base di dati raccolti nel periodo 1985-2001 da 163.944 volontari”, spiega Emdin. L’esito del progetto ha evidenziato che vi è stato un aumento di 1,5 volte di rischio di malattie cardiovascolari nei soggetti con GGT elevata, rischio che sale a 2 volte nei soggetti con età inferiore a 60 anni, e che conferma il rischio di morte collegata con cardiopatia ischemica, scompenso cardiaco e ictus cerebrale ischemico ed emorragico. I risultati e tutte le implicazioni che questa ricerca comporta sono riportati e spiegati in un editoriale pubblicato nel numero del 4 ottobre della più prestigiosa rivista di cardiologia Circulation.

 

Per informazioni:
Michele Emdin
Istituto di fisiologia clinica (Ifc) del Cnr di Pisa e Università di Pisa
emdin@ifc.cnr.it

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