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Ricercatori dell'Istituto di Geoscienze e Georisorse al lavoro nella Rift Valley Africana con un progetto finanziato dal National Geographic

21/03/2017

Close to Megado
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La Rift Valley Africana è una delle principali attrazioni naturalistiche del mondo, nota nell'immaginario collettivo per ospitare una biodiversità unica e per essere considerata -per le importanti scoperte paleoantropologiche- la culla dell'umanità, ossia il luogo in cui si è evoluta e diversificata la nostra specie negli ultimi milioni di anni. Caratterizzata da un sistema di valli lineari che si estende per migliaia di chilometri, la Rift Valley è una grande linea di frattura nella superficie terrestre (rift in inglese significa spaccatura, rottura) che si allarga progressivamente nel tempo, lacerando il continente africano nella sua porzione orientale. Essa costituisce una meraviglia geologica dove vulcanismo, terremoti e fratturazione della crosta terrestre sono le manifestazioni superficiali delle enormi forze tettoniche che modellano il nostro pianeta, portando alla rottura delle placche continentali e alla formazione di nuovi oceani. Tuttavia, a dispetto di queste condizioni ideali, alcune porzioni del sistema di Rift dell'Africa Orientale mancano quasi completamente di informazioni sull'evoluzione e sullo stile del vulcanismo e della deformazione tettonica.

Nel quadro di un progetto finanziato dalla prestigiosa National Geographic Society, un gruppo di ricercatori appartenenti all'Istituto di Geoscienze e Georisorse del Consiglio Nazionale delle Ricerche, all'Università di Firenze, e altre istituzioni internazionali (Università di Southampton, Centre National de la Recherche Scientifique - Orleans, Università di Addis Ababa, Università di Adama) ha recentemente intrapreso un studio di una queste aree poco conosciute, il rift del Ririba. Questo settore, che si trova al confine tra Etiopia e Kenya, è di particolare interesse perchè è comunemente considerato il settore più meridionale, più giovane e meno sviluppato della rift valley Etiopica, localizzato in una regione molto complessa di deformazione diffusa (ampia più di 300km) che deriva dall'interazione tra i sistemi di rift del Kenya e dell'Etiopia. La recente attività vulcano-tettonica nell'area è testimoniata dalla presenza di lunghe depressioni tettoniche lineari alle quali è associato un diffuso vulcanismo sotto forma di numerose colate di lava, edifici vulcanici e impressionanti depressioni crateriche legate ad intensa attività esplosiva, dette maar. I prodotti vulcanici in quest’area sono eccezionali in quanto presentano abbondanti xenoliti, grossi frammenti di rocce crostali o di mantello trasportati dal magma direttamente in superficie da profondità fino a circa 80 km.

Il progetto finanziato da National Geographic è consistito in una campagna di lavoro sul terreno durante la quale sono stati raccolti da varie località dati e campioni di colate di lave basaltiche e dei prodotti piroclastici associati ai numerosi crateri esplosivi che caratterizzano l'area. La datazione radiometrica di questi campioni fornirà informazioni fondamentali per definire l'evoluzione vulcanica del rift che, assieme ai dati strutturali e composizionali forniranno nuove importanti indicazioni sulla tempistica, distribuzione e caratteristiche dell'attività vulcanica e tettonica all'estremità meridionale della rift valley Etiopica. Questo permetterà di migliorare la comprensione dei processi atttraverso i quali i maggiori segmenti di rift continentali (in questo caso Etiopia e Kenya) si propagano, interagiscono e si connettono.  

Per informazioni:
Giacomo Corti
CNR - Istituto di geoscienze e georisorse
giacomo.corti@igg.cnr.it
0552757524

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