11/04/2024
Concluso lo studio NutBrain (Nutrition, gUT microbiota, and Brain AgING) dell'Istituto di tecnologie biomediche del Cnr (Cnr-Itb), ricerca svolta in collaborazione con l'Istituto neurologico nazionale a carattere scientifico - IRCCS, che - tra i vari scopi - aveva come obiettivo quello di indagare l’associazione tra aderenza alla dieta mediterranea e sintomi depressivi in una coorte di circa 800 anziani di età compresa tra 65 e 97 anni residenti in regione Lombardia, i cui risultati sono stati pubblicati sulla rivista British Journal of Nutrition.
La depressione colpisce milioni di persone in tutto il mondo e il rischio di svilupparne i sintomi aumenta all’aumentare dell’età. Inoltre i dati indicano che è un disturbo sesso-specifico, vedendo le donne maggiormente esposte. In letteratura, la dieta mediterranea, basata su un elevato consumo di frutta e verdura, cereali integrali, pesce, olio d’oliva e un basso consumo di alimenti di origine animale, sembra essere associata a un minor rischio di depressione nell’adolescenza e nell’età adulta, tuttavia, i dati relativi alla popolazione anziana (≥65 anni) e alle differenze di genere sono scarsi.
Nel campione in studio, la prevalenza di sintomi depressivi è del 19.8%, più elevata nelle donne (27.9%) rispetto agli uomini (8.0%), dati in linea con quelli della popolazione generale. L’elevata aderenza alla dieta mediterranea riduce significativamente la probabilità di avere sintomi depressivi del 54.6%. Stratificando i risultati per sesso si osserva come questa riduzione sia evidente nelle donne ma non negli uomini, mentre analizzando i componenti della dieta mediterranea, abbiamo riscontrato un’associazione inversa e statisticamente significativa con il consumo di pesce e l’aumento del rapporto tra gli acidi grassi monoinsaturi/acidi grassi saturi, solo nelle donne. Inoltre, le donne che consumano più di due porzioni di pesce fresco (in particolare gamberi, scampi, cozze e vongole ma non il tonno sott’olio) a settimana, hanno una probabilità inferiore di sviluppare sintomi depressivi rispetto a chi consuma meno di due porzioni a settimana.
Questi risultati hanno importanti implicazioni in termini di salute pubblica, poiché supportano la promozione di una dieta sana ed equilibrata nella prevenzione dei disturbi mentali, in particolare nella popolazione anziana per la quale, ad oggi le raccomandazioni dietetiche sono scarse e non specifiche. Sono necessari ulteriori studi longitudinali e sperimentali per comprendere meglio i meccanismi biologici sottostanti.
Per informazioni:
Federica Prinelli
Cnr-Itb
federica.prinelli@itb.cnr.it
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