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Dal Cnr cerotti 'transdermici' a base di Artemisinina

07/10/2015

Il Nobel per la Medicina 2015 è stato assegnato all'irlandese William C. Campbell e al giapponese Satoshi Omura, per la scoperta di una nuova terapia contro le infezioni causate da parassiti nematodi, e alla cinese Youyou Tu, per la scoperta di una nuova terapia contro la malaria. Dodicesima donna e primo medico cinese ad aggiudicarsi il Nobel per la Medicina, Youyou Tu è stata premiata per i suoi studi sull'Artemisinina, un principio attivo naturale efficace contro il plasmodio della malaria.

Il lavoro di Youyou Tu inizia alla fine degli anni '60, quando la malaria stava crescendo in molte zone del pianeta e il chinino mostrava tutti i suoi limiti. Dopo aver analizzato diverse molecole sintetiche, la ricerca fu orientata anche verso la medicina tradizionale cinese e Tu, ricercatrice all'Accademia di Medicina Tradizionale di Pechino esperta anche di medicina occidentale, è arrivata a scoprire l'efficacia di un estratto dell'Artemisia annua, che è poco più di un'erba stagionale.

L’Artemisinina è attualmente il principio attivo più efficace nei confronti dei ceppi chinino-resistenti di Plasmodium falciparum, agente eziologico della malaria, e viene isolata dall’Artemisia annua L. (Asteraceae, Asteroideae, Anthemideae), una pianta erbacea annuale autoctona dell’Asia, molto conosciuta ed utilizzata in Cina con il nome tradizionale di “qinghao”.

Oggi, un'intera classe di farmaci antiplasmodiali derivati dall'Artemisina è di largo uso come antimalarico singolarmente e/o in combinazione con altre terapie, in particolare nei casi in cui siano presenti fenomeni di resistenza agli anti-plasmodiali convenzionali (ACTs – Artemisinin-based Combination Therapies).

Chimicamente l’Artemisinina è un lattone sesquiterpenico con un anello triossanico comprendente un legame perossidico, al quale è essenzialmente legata l’attività antimalarica. Il plasmodio per sopravvivere metabolizza quasi il 25% dell'emoglobina dei globuli rossi in cui esso si insinua, e siccome non può eliminare il ferro contenuto nelle cellule del sangue di cui si nutre, lo immagazzina. Lo ione ferroso presente nel gruppo eme accumulato dal parassita riduce il legame perossidico comportando la formazione di radicali; questi risultano efficaci nel colpire alcuni siti proteici del parassita rendendo di fatto il ferro accumulato tossico per il parassita.

In modo simile, l’Artemisinina è in grado di influenzare l’attività delle cellule tumorali che contengono un’elevata concentrazione di ferro; infatti è riportato in diversi studi scientifici che alcuni derivati dell’Artemisinina agiscono sulla proliferazione cellulare e la vitalità delle cellule tumorali attraverso un meccanismo d'azione ancora non ben chiaro.

Il principio è allo studio anche dell'Istituto per i polimeri, compositi e biomateriali (Ipcb) del Cnr che -attraverso la partecipazione a un progetto europeo al quale collaborano ricercatori dal Brasile, dal Sudafrica e dalla Finlandia- ha lavorato alla messa a punto di una strategia finalizzata allo sviluppo di cerotti transdermici contenenti Artemisinina mediante un processo di elettrofilatura del farmaco in nanofibre costituite da materiali polimerici.

L’innovazione individuata dal team di ricercatori, coordinati dal Direttore dell'Istituto Cosimo Carfagna, ha riguardato la sintesi di un polimero iper-ramificato che potesse solubilizzare l’Artemisinina e favorirne il rilascio. I risultati fin qui prodotti da altri gruppi di ricerca avevano, infatti, fornito scarsi risultati a causa della facile cristallinità del farmaco, che quindi non si rendeva disponibile per la sua solubilizzazione nel derma. L’agente antinucleante sintetizzato è un polimero iper-ramificato polibutilene adipato che grazie alla sua struttura e alle sue caratteristiche chimico-fisiche è in grado di ingabbiare le molecole di farmaco inibendo così la sua cristallizzazione.  Il polimero di sintesi ottenuto è stato miscelato con l’Artemisinina ed utilizzato per realizzare delle fibre core-shell mediante elettrofilatura: le fibre contenenti il farmaco sono rivestite da uno shell di polivinilpirrolidone, un polimero idrosolubile che serve a proteggere il farmaco dagli agenti esterni e a coadiuvarlo nel rilascio. Dalle caratterizzazioni eseguite sui campioni si è osservato che l’Artemisinina contenuta nelle fibre conserva non solo il suo stato amorfo ma anche il legame perossidico responsabile dell’attività farmacologica; e ciò è valido anche dopo 4 mesi di invecchiamento.

Il sistema fibroso è ora in fase di caratterizzazione per valutare il rilascio del farmaco e la sua efficacia sul Plasmodium falciparum nonché sulle cellule tumorali (cancro alla prostata). Dai test fin qui effettuati è stato possibile osservare che sia la crescita del plasmodium falciparum che quella delle cellule tumorali viene inibita dalla presenza dell’Artemisinina contenuta e rilasciata dalle fibre.

L’utilizzo dei cerotti transdermici a base di Artemisinina supera uno dei limiti più severi nell’uso farmacologico connesso alla sua biodisponibilità: infatti, sebbene l’Artemisinina abbia un’eccellente permeabilità attraverso la mucosa intestinale, è scarsamente solubile in acqua e ciò riduce la sua efficacia.

Grazie al suo basso peso molecolare e la sua breve emivita, l’Artemisinina risulta un ottimo candidato per il rilascio controllato transdermico.

A tal scopo però, è risultato tuttavia fondamentale mantenere l’Artemisinina nel suo stato amorfo altrimenti in fase cristallina avrebbe diminuito la sua solubilità e permeabilità attraverso lo strato corneo. 

La somministrazione di farmaci mediante via transdermica rappresenta un modo molto utile per controllare e modulare il quantitativo, il luogo e il tempo di rilascio della molecola attiva. Inoltre permette di evitare un sovradosaggio e ridurre gli effetti collaterali dovuti al farmaco non assorbito.

Tra i sistemi adatti al rilascio transdermico si stanno sviluppando sempre di più i sistemi fibrosi ottenuti mediante elettrofilatura in quanto offrono diversi vantaggi: attraverso un’opportuna scelta del polimero, della struttura delle fibre e della morfologia di superficie è possibile modulare il rilascio del principio attivo; lo shell consente di proteggere la molecola dagli agenti biologici ed incapsulare qualunque tipologia di molecola indipendentemente dalle interazioni farmaco-polimero; l’elevata area superficiale delle fibre permette una più facile idratazione e quindi si crea più rapidamente un elevato gradiente di concentrazione delle molecole incapsulate con conseguente aumento della velocità di diffusione.

La fitoterapia rappresenta un’antica pratica che consiste nell’utilizzare i principi attivi di prodotti naturali di origine vegetale per curare malattie ed infezioni. Le origini esatte della fitoterapia sono sconosciuti,  tuttavia gli studi più antichi furono eseguiti in Medio Oriente, Cina, Egitto e India. Il rinnovato interesse per le medicine "naturali" ha portato negli ultimi 20 anni ad una ripresa della domanda di erbe medicinali sia perché oltre il 95% della popolazione nei paesi in via di sviluppo fa uso di erbe per curarsi sia perchè quasi il 25% dei moderni farmaci hanno origini botaniche.

La malaria rappresenta un grave ed annoso problema per i paesi con un alto tasso di povertà. L'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha stimato che il numero di casi di malaria è stato di circa 200 milioni nel 2013, portando a circa 600.000 decessi; il 90% dei casi è circoscritto alle zone dell’Africa subsahariane.

 

Per ulteriori informazioni: 

Prof. Cosimo Carfagna, direttore Ipcb-Cnr, email: carfagna@unina.it