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Rientri incontrollati dallo spazio: le risposte alle domande più frequenti

06/05/2015

Nave cargo Progress in prossimità della Stazione Spaziale Internazionale. (Foto d'archivio - Fonte: NASA)
Nave cargo Progress in prossimità della Stazione Spaziale Internazionale. (Foto d'archivio - Fonte: NASA)

In vista del rientro incontrollato nell'atmosfera Terrestre del veicolo spaziale russo Progress-M 27M, i ricercatori dell'Istituto di scienza e tecnologia dell'informazione 'A Faedo' del Cnr di Pisa Luciano Anselmo e Carmen Pardini forniscono alcuni chiarimenti sulle previsioni di rientro

 

Dove può rientrare la Progress-M 27M?

In linea di principio, i frammenti solidi della nave cargo russa potrebbero precipitare in qualunque località del pianeta compresa tra i 53 gradi di latitudine sud e nord. Tenendo conto della distribuzione degli oceani e delle terre emerse, se i detriti di distribuissero su un arco di 800 kmq, la probabilità a priori che cadano tutti in mare è del 62%. Ma se i detriti si disperdessero su un arco di 2000 kmq, la probabilità che nessuno di essi precipiti sulla terraferma scenderebbe al di sotto del 50%.

Quanto è grande il rischio rappresentato da un rientro incontrollato?

La soglia di attenzione comunemente adottata a livello internazionale corrisponde a un rischio estremamente ridotto per un singolo individuo che risiede in un’area sorvolata dal satellite: la probabilità corrispondente di essere colpiti da un frammento è infatti un numero piccolissimo, dell’ordine di uno su centomila miliardi (cioè 1:100.000.000.000.000). Confrontata con i rischi cui andiamo incontro nella vita di tutti i giorni, si tratta di una soglia bassissima. Tanto per fare un paio di esempi, la probabilità di essere colpiti da un fulmine è 130.000 volte maggiore, mentre quella di rimanere vittima di un incidente domestico, nei paesi sviluppati, è addirittura più grande di 3 milioni di volte. In genere, salvo casi molto specifici, i rientri più rischiosi presentano una probabilità di essere colpiti da un frammento 10 volte superiore alla soglia di attenzione, cioè dell’ordine di uno su diecimila miliardi.

E’ possibile quantificare il rischio specifico rappresentato dal rientro della Progress-M 27M?

Al momento non siamo al corrente di stime quantitative ufficiali di fonte russa. Sulla base della nostra esperienza possiamo affermare che la soglia di attenzione sarà sicuramente superata, anche se non abbiamo informazioni sufficienti per dire di quanto. Ma il rischio individuale resterà comunque bassissimo. 

A quanto risale l’ultimo caso analogo alla Progress-M 27M?

L’ultima nave cargo Progress rientrata nell’atmosfera senza controllo, e di cui ci siamo occupati, risale al 1994 (Progress-M 17). Ma allora il veicolo spaziale non era in rapida rotazione su se stesso come in questo caso.

Cosa si intende per rientro nell’atmosfera?

Non esiste un confine netto e preciso tra l’atmosfera e lo spazio: la prima svanisce progressivamente con continuità nel secondo. Ecco perché i satelliti in orbita bassa ne subiscono gli effetti e anche la Stazione Spaziale Internazionale, che vola a 400 km di altezza, deve periodicamente accendere i motori per contrastare la perdita di quota provocata dall’atmosfera residua. Esiste comunque un’interfaccia convenzionale, fissata alla quota di 120 km, al di sopra della quale un’orbita circolare è ancora marginalmente possibile, anche se di brevissima durata, mentre al di sotto no. In generale si parla quindi di rientro nell’atmosfera quando un veicolo spaziale precipita alla quota di 120 km. Ma siccome in gran parte dei casi la struttura principale di un satellite rimane integra fino alla quota di 80 km, spesso quando si parla di previsioni di rientro si intende appunto fino alla quota di 80 km.

Cosa succede durante il rientro?

Per convenzione si dice che un oggetto rientra nell’atmosfera quando precipita a 120 km di quota. Da quel punto in avanti l’attrito dell’aria diventa sempre più significativo e delle strutture esposte di grande area e massa contenuta (per esempio dei pannelli solari, delle antenne o delle appendici di varia natura) possono staccarsi anche tra i 110 e i 90 km di altezza. Ma in genere la struttura principale dei satelliti, dove è concentrata gran parte della massa, rimane intatta fino a 80 km di quota. Solo in seguito, a causa dell’azione combinata delle forze aerodinamiche e del riscaldamento prodotti dall’attrito dell’aria, la struttura principale si disintegra e i singoli componenti si trovano a loro volta esposti alle condizioni proibitive dell’ambiente circostante. Il destino dei vari pezzi dipende dalla loro composizione, dalla loro forma, dalla loro struttura, dal rapporto area su massa e da quando vengono rilasciati durante la discesa. Gran parte della massa si vaporizza ad alta quota, ma se il satellite è sufficientemente massiccio e contiene componenti particolari, come serbatoi di titanio e masse metalliche in leghe speciali, la caduta al suolo di frammenti solidi a elevata velocità, fino a qualche centinaio di km/h, è possibile.

Quali sono i dati orbitali usati dall’Isti-Cnr per le previsioni di rientro?

Generalmente si tratta delle orbite determinate dal sistema di sorveglianza militare americano. Talvolta disponiamo anche di quelle determinate da russi, tedeschi, francesi e giapponesi.

Da quanto tempo l’Isti-Cnr di Pisa si occupa di previsioni di rientro?

Riforme, ristrutturazioni e accorpamenti a parte, che hanno cambiato i nomi delle strutture coinvolte, quello che adesso è denominato Laboratorio di Dinamica del Volo Spaziale ha cominciato a occuparsi di previsioni di rientro per le autorità nazionali nel 1979, in occasione del rientro della stazione spaziale americana Skylab. Per maggiori info: http://andromeda.isti.cnr.it/srp/

Cosa si intende per Sorveglianza Spaziale?

Si tratta del processo attraverso il quale si individuano e si identificano gli oggetti artificiali che si trovano nello spazio intorno alla terra, determinandone lo stato dinamico (cioè l’orbita, e magari anche l’orientazione nello spazio e lo stato rotazionale).

Che strumentazione è richiesta?

Condizione necessaria è la disponibilità di potenti radar (soprattutto per le orbite basse, cioè quelle che interessano nel caso dei rientri nell’atmosfera), di telescopi sensibili nell’ottico e nell’infrarosso (soprattutto per le orbite più alte) e, eventualmente, di satelliti in grado di svolgere le osservazioni richieste. Per poter essere efficace, la rete dei sensori basati a terra, cioè i radar e i telescopi, deve avere la massima distribuzione geografica possibile, in longitudine e latitudine, il che comporta un numero di installazioni non piccolo (circa una ventina nel caso degli Stati Uniti). A ciò bisogna aggiungere almeno un centro di controllo per l’elaborazione dei dati raccolti e per pianificare al meglio la riacquisizione degli oggetti.

Questo tipo di attività è stata finora gestita esclusivamente da organizzazioni militari. I sistemi di sorveglianza più sviluppati e capaci sono figli della Guerra Fredda e sono appannaggio degli Stati Uniti e della Russia. In tempi molto più recenti, anche la Francia ha sviluppato un proprio sistema, ma di prestazioni decisamente più limitate, a causa della piccola copertura geografica e della minore sensibilità dei sensori. Altri paesi, come la Germania e il Giappone, sono comunque in grado di seguire l’evoluzione di singoli oggetti, in caso di necessità, ma sempre con la grave limitazione di poterlo fare solo da un’area geografica molto limitata. Per quanto riguarda infine la Cina, non disponiamo al momento di informazioni affidabili in merito.

Le orbite americane vengono determinate e diffuse dal NORAD?

Assolutamente no! E’ curioso come ancora oggi si trovi frequentemente, non solo sui mezzi di informazione generalisti, ma anche su quelli spaziali specializzati (e perfino in qualche articolo e rapporto tecnico) questa informazione sbagliata. Infatti il NORAD non si occupa più di sorveglianza spaziale da oltre un quarto di secolo. Ovviamente questa non è la sede per ripercorrere tutte le complesse ristrutturazioni cui è andata incontro nel secondo dopoguerra la struttura di comando delle forze militari americane (l’ultima grande riorganizzazione risale agli anni immediatamente successivi all’11 settembre 2001). E’ però importante precisare che da oltre un decennio la responsabilità della sorveglianza spaziale è passata al Comando Strategico (USSTRATCOM), che opera attraverso il Joint Space Operations Center (JSpOC), localizzato presso la Vandenberg Air Force Base (VAFB), in California.

Le orbite sono sufficienti per effettuare le previsioni di rientro?

No. Le determinazioni orbitali effettuate dai sistemi di sorveglianza spaziale ci dicono dove il satellite si trovava un certo numero di ore fa. Per sapere dove il satellite si trova ora e, soprattutto, per conoscere la sua evoluzione futura è necessario propagare l’orbita. Una propagazione orbitale consiste nell’applicare al satellite tutte le forze rilevanti che ne modellano il moto, calcolando l’evoluzione nel tempo della sua posizione e della sua velocità. Allo scopo si applicano modelli complessi implementati in programmi software.

Quali forze bisogna considerare?

Le forze di cui bisogna tener conto sono il campo gravitazionale terrestre, con le sue disomogeneità, l’attrazione gravitazionale della luna e del sole e, se necessario, altre forze generalmente meno intense o rilevanti. Ma nel caso delle previsioni di rientro, cioè di satelliti che si muovono su orbite molto basse, è di fondamentale importanza l’accurata modellazione della perdita di energia cui gli oggetti vanno incontro quando urtano gli atomi e le molecole dell’atmosfera residua che si trova anche alla loro altezza.

Come vengono modellati gli effetti dell’alta atmosfera?

Occorre innanzi tutto disporre di sofisticati modelli, sviluppati dalla comunità scientifica nel corso di decenni, in grado di descrivere dettagliatamente la densità dell’alta atmosfera in funzione della località e del tempo, tenendo conto degli effetti su di essa dell’attività solare e geomagnetica. Infatti la densità dell’alta atmosfera dipende dalla sua temperatura, determinata a sua volta dal flusso di radiazione e particelle di origine solare e dalle eventuali perturbazioni del campo magnetico terrestre provocate dalle particelle elettricamente cariche emesse dal sole in direzione del nostro pianeta.

Le previsioni di rientro sono un processo automatico?

Assolutamente no. Considerando gli oggetti più grandi e massicci, che sono poi quelli che ci interessano in questa sede, ognuno di essi ha le sue caratteristiche e la sua storia, che vanno attentamente valutati caso per caso. C’è poi la questione dell’accurata modellazione degli effetti dell’atmosfera. L’attività più delicata e più dispendiosa in termini di tempo consiste nel determinare di volta in volta, prima di ogni nuova propagazione, il cosiddetto parametro balistico del satellite analizzato, che descrive, semplificando al massimo, l’aerodinamicità dell’oggetto. Ogni satellite ha il suo parametro balistico, ma sfortunatamente questo non è costante, perché dipende in maniera complicata dalla sua forma, dalle sue dimensioni, da come l’oggetto è orientato nello spazio, dalla sua rotazione, dalla composizione e temperatura della sua superficie, dalla composizione e temperatura dell’atmosfera, e anche dalla densità di quest’ultima.

Cosa sono le finestre di incertezza?

Gran parte dei satelliti che rientrano nell’atmosfera lo fanno da orbite basse quasi circolari, si muovono cioè quasi tangenzialmente rispetto agli strati atmosferici di densità crescente. Piccole variazioni di questo angolo già vicino allo zero possono produrre delle traiettorie ben diverse, un po’ come succede quando tiriamo un sasso nell’acqua di uno stagno. Se l’angolo di incidenza è poco più che radente, il sasso si inabissa nel punto di contatto con l’acqua, ma se il sasso colpisce la superficie di striscio, può rimbalzare una o più volte e non è facile prevedere a priori dove potrà alla fine immergersi. A parte questo effetto, che dipende dalla particolare geometria della traiettoria, esistono diverse altre sorgenti di incertezza, quali:

  • l’orbita di partenza è affetta da un certo errore;
  • il parametro balistico non è costante, ma può evolvere in maniera complicata e in parte imprevedibile;
  • anche i migliori modelli di atmosfera sono affetti da errori, che variano in funzione del tempo e delle condizioni ambientali;
  • le previsioni dell’attività solare e geomagnetica, che influiscono sulla densità atmosferica, sono affette da incertezze, un po’ come succede per le previsioni meteorologiche.

Tenendo conto di tutte queste sorgenti di incertezza, ed eventualmente di altre più o meno probabili, non è possibile e non ha senso calcolare “dove” e “quando” il satellite precipiterà sulla terra. Piuttosto ha molto più senso calcolare una finestra temporale, che corrisponderà a tante località diverse, all’interno della quale si prevede che il satellite rientrerà con una certa probabilità. Questa finestra temporale è appunto la finestra di incertezza associata alla previsione di rientro.

Come è definita la finestra di incertezza?

Le finestre di incertezza associate alle previsioni di rientro diramate dall’Isti-Cnr sono costruite in modo da ottenere un livello di confidenza del 95%, tenendo conto sia dell’analisi dell’oggetto specifico, che dell’esperienza passata. Ciò significa che il satellite dovrebbe rientrare all’interno della finestra temporale assegnata con una probabilità di almeno il 95%. Per ottenere livelli di confidenza superiori, occorrerebbe considerare eventi estremamente improbabili e la finestra di incertezza diventerebbe talmente estesa da risultare praticamente inutile. Piuttosto è il monitoraggio costante della situazione che consente di correre ai ripari, aggiornando rapidamente le previsioni, qualora si verifichino eventi eccezionali o totalmente imprevisti. 

Come si evolve la finestra di incertezza?

Man mano che ci si avvicina al momento del rientro, la finestra temporale di incertezza si riduce sempre più. Generalmente, circa 36 ore prima del rientro, diventa così possibile cominciare a escludere alcune zone del pianeta da ogni rischio di caduta, e questo processo di  esclusione progressiva di aree sempre più vaste continua nelle successive 30 ore, sempre che siano disponibili nuove orbite aggiornate. Ma è solo nelle ultime ore che il rischio di rientro può essere confinato a 1 o 2 tracciati orbitali, cioè a una striscia di superficie terrestre larga 300 km e lunga dai 40.000 agli 80.000 km.

Riassumendo, quali sono gli ingredienti necessari per una previsione di rientro?

I principali ingredienti sono i seguenti:

  • Un’orbita del satellite recente e accurata (USSTRACOM, o altre fonti affidabili);
  • Una determinazione accurata del parametro balistico del satellite (Isti-Cnr);
  • Un’analisi delle caratteristiche e del comportamento fisico del satellite (Isti-Cnr);
  • Un propagatore orbitale che includa tutte le forze significative che agiscono sul satellite, in particolare dei modelli appropriati dell’atmosfera (Isti-Cnr);
  • Un archivio storico dei parametri fisici che determinano le condizioni dell’atmosfera (Isti-Cnr);
  • Gli indici che definiscono l’attività solare e geomagnetica misurati negli ultimi 90 giorni e previsti nei successivi 45 giorni (National Oceanic and Atmospheric Administration, Space Environment Technologies, United States Air Force, o altre fonti affidabili);
  • I criteri per definire le finestre temporali di incertezza con il livello di confidenza desiderato (Isti-Cnr).

 

Per ulteriori informazioni:

Luciano Anselmo, Isti-Cnr, Space Flight Dynamics Laboratory (SFD), tel: 050/6212952, email: luciano.anselmo@isti.cnr.it

 

Carmen Pardini, Isti-Cnr, Space Flight Dynamics Laboratory (SFD), tel: 050/6212987, email: carmen.pardini@isti.cnr.it