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Sindrome di Sanfilippo: da un'indagine sui sintomi di tipo autistico, una nuova visione delle basi biologiche della malattia

10/06/2021

Guardare la sindrome di Sanfilippo sotto una nuova lente, per immaginare nuove strategie terapeutiche per questa grave malattia genetica che colpisce il sistema nervoso e per la quale ad oggi non esistono cure efficaci: è quanto propone su Nature Communications* Elvira De Leonibus, ricercatrice dell’Istituto Telethon di genetica e medicina (Tigem) di Pozzuoli e dell’Istituto di biochimica e biologia cellulare del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Ibbc).

Detta anche mucopolisaccaridosi di tipo 3A, la sindrome di Sanfilippo è tradizionalmente descritta come una malattia da accumulo lisosomiale, dovuta cioè ad alterazioni del funzionamento dei lisosomi, organuli cellulari deputati alla degradazione di varie molecole. In particolare, la sindrome si ritiene dovuta al mancato smaltimento di uno zucchero, chiamato eparansolfato, che svolge diverse funzioni a livello cerebrale. “A causa della mancata degradazione, lo zucchero si accumula nei lisosomi ed è proprio questo fenomeno a essere considerato responsabile dell’insorgenza nei bambini colpiti di neurodegenerazione e demenza” spiega Elvira De Leonibus. “Per questo motivo, gli approcci terapeutici attualmente in studio (alcuni già in fase clinica) si concentrano sulla correzione del difetto genetico con terapia genica o sulla riduzione dell’eparansolfato in eccesso”.

Tuttavia, il meccanismo di accumulo lisosomiale non sembra in grado da solo di giustificare altri sintomi della malattia che si manifestano più precocemente rispetto alla neurodegenerazione: sintomi comportamentali analoghi a quelli che si possono manifestare in disturbi dello spettro autistico quali iperattività, alterazioni del comportamento sociale, comportamenti stereotipati, e che risultano refrattari sia alla terapia comportamentale sia al trattamento con farmaci antipsicotici come aloperidolo o risperidone che talvolta vengono utilizzati.

Da qui l’idea di cercare possibili meccanismi differenti alla base di questi sintomi: un lavoro durato diversi anni e reso possibile anche grazie al sostegno delle associazioni di pazienti The Society for Mucopolysaccharide Diseases, State College of Florida Foundation, Cure SanFilippo Foundation. Con il suo gruppo di collaboratori e in particolare con Maria De Risi, primo nome dell’articolo, De Leonibus ha lavorato in particolare con un modello murino della sindrome, scoprendo che in questi animali si registra in una particolare area del cervello (ma non è escluso che possa accadere anche in altre) un livello superiore al normale del neurotrasmettitore dopamina. A sua volta, questo eccesso di dopamina dipende da una proliferazione superiore alla norma dei neuroni che la producono. “I nostri dati suggeriscono come tutto questo non dipenda dall’accumulo di eparansolfato nei lisosomi, ma dal fatto che lo zucchero residuo funzioni in modo alterato, cioè da una disfunzione del suo metabolismo”.

Non solo: i ricercatori hanno scoperto che l’aumento dei neuroni produttori di dopamina si verifica già durante la vita fetale, suggerendo che la sindrome di Sanfilippo possa essere descritta anche come malattia del neurosviluppo. “Questo suggerisce che gli approcci terapeutici attualmente in studio potrebbero avere effetto su alcuni sintomi della malattia, ma non su tutti e in particolare non su quelli comportamentali” afferma De Leonibus. “Ma attenzione: anche se questo venisse confermato, non significa che non siano approcci di valore, anzi! Avere scoperto questo nuovo meccanismo legato ai sintomi comportamentali significa però che, in parallelo a strategie come la terapia genica, si dovrebbe lavorare ad altri approcci più specifici per questi sintomi”. E i risultati pubblicati su Nature Communications sembrano già andare in questa direzione.

“Abbiamo scoperto che le alterazioni del sistema neuronale produttore di dopamina sono accompagnate anche da un importante aumento dei livelli di uno dei recettori della dopamina stessa che non è quello sul quale agiscono farmaci come l’aloperidolo o il risperidone (che infatti non funzionano o hanno effetti collaterali importanti). Utilizzando invece un composto che agisce in modo specifico su questo recettore si osserva una diminuzione delle alterazioni comportamentali”.

Come sempre in questi casi, la strada verso un farmaco di uso clinico è lunga, ma è stata aperta e le possibili ricadute riguardano anche tutte le altre forme di mucopolisaccaridosi nelle quali l’eparansolfato non viene correttamente degradato, come le altre forme di MPS 3 e l’MPS 2, tutte caratterizzate da una fase iniziale di autismo seguito da demenza. Inoltre, potrebbero riguardare anche forme non genetiche di autismo. “Sempre più studi suggeriscono un coinvolgimento del metabolismo dell’eparansolfato nell’insorgenza di disturbi dello spettro autistico non legato a sindromi genetiche: il nostro risultato è un’ulteriore conferma. Ed è anche la conferma di quanto lo studio di malattie genetiche rare possa essere importante anche per condizioni molto più diffuse”.

* Maria De Risi, Michele Tufano, Filomena Grazia Alvino, Maria Grazia Ferraro, Giulia Torromino, Ylenia Gigante, Jlenia Monfregola, Elena Marrocco, Salvatore Pulcrano, Lea Tunisi, Claudia Lubrano, Dulce Papy-Garcia, Yaakov Tuchman, Alberto Salleo, Francesca Santoro, Gian Carlo Bellenchi, Luigina Cristino, Andrea Ballabio, Alessandro Fraldi, and Elvira De Leonibus, “Altered heparan sulfate metabolism during development triggers dopamine-dependent autistic-behaviours in models of lysosomal storage disorders”. Nature Communications, 9th June 2021

Fondazione Telethon
Fondazione Telethon è una delle principali charity biomediche italiane, nata nel 1990 per iniziativa di un gruppo di pazienti affetti da distrofia muscolare. La sua missione è di arrivare alla cura delle malattie genetiche rare grazie a una ricerca scientifica di eccellenza, selezionata secondo le migliori prassi condivise a livello internazionale. Attraverso un metodo unico nel panorama italiano, segue l’intera “filiera della ricerca” occupandosi della raccolta fondi, della selezione e del finanziamento dei progetti e dell’attività stessa di ricerca portata avanti nei centri e nei laboratori della Fondazione. Telethon inoltre sviluppa collaborazioni con istituzioni sanitarie pubbliche e industrie farmaceutiche per tradurre i risultati della ricerca in terapie accessibili ai pazienti. Dalla sua fondazione ha investito in ricerca oltre 556 milioni di euro, ha finanziato oltre 2.700 progetti con 1.630 ricercatori coinvolti e più di 580 malattie studiate. Ad oggi grazie a Fondazione Telethon è stata resa disponibile la prima terapia genica con cellule staminali al mondo, nata grazie alla collaborazione con l’industria farmaceutica. Strimvelis, questo il nome commerciale della terapia, è destinata al trattamento dell’ADA-SCID, una grave immunodeficienza che compromette le difese dell’organismo fin dalla nascita. Un’altra terapia genica frutto della ricerca Telethon resa disponibile è quella per una grave malattia neurodegenerativa, la leucodistrofia metacromatica, dal nome commerciale di Libmeldy. Questo approccio terapeutico è in fase avanzata di sperimentazione clinica per un’altra immunodeficienza, la sindrome di Wiskott-Aldrich. Altre malattie su cui la terapia genica messa a punto dai ricercatori Telethon è stata valutata nei pazienti sono la beta talassemia e due malattie metaboliche dell’infanzia, la mucopolisaccaridosi di tipo 6 e di tipo 1. Inoltre, all’interno degli istituti Telethon è in fase avanzata di studio o di sviluppo una strategia terapeutica mirata anche per altre malattie genetiche, come per esempio l’emofilia o diversi difetti ereditari della vista. Parallelamente, continua in tutti i laboratori finanziati da Telethon lo studio dei meccanismi di base e di potenziali approcci terapeutici per patologie ancora senza risposta.

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